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Criptovalute: cosa pensano le banche centrali

Le criptovalute rappresentano un fenomeno di portata mondiale. Il Bitcoin fa registrare, nonostante qualche sporadico scivolone, tassi di crescita annuo su anno incredibili, seguito a ruota (o quasi) dai vari Ethereum, Litecoin, Ripple. Sono sulla bocca di tutti: investitori, analisti, economisti, media, gente comune.

Era inevitabile, quindi, che finissero anche sulla bocca delle banche centrale, che in teoria dovrebbero essere i soggetti più titolati a parlare di valute. L’espressione “in teoria” è d’obbligo, dal momento che le criptovalute sono nate in netta contrapposizione con le banche centrali, la loro ragion d’essere è proprio la creazione di un sistema monetario che sia svincolato dalle dinamiche delle central banks.

Ma tant’è, il parere delle varie Fed, Bce, Bank of England et similia era richiesto e non è tardato ad arrivare. In questo articolo ricapitoleremo quello che le principali banche centrali pensano sulle criptovalute.

Federal Reserve

La banca centrale statunitense condivide con tutte le analoghe in giro per il mondo alcune perplessità. In questo caso, le maggiori preoccupazioni ruotano attorno alla gestione del rischio. Proprio in questo senso vanno le dichiarazione di Jerome Powell, membro del board Fed.

Randal Quarles, Vice Chair for Supervision della Fed, ha persino paventato un intervento diretto da parte della banca centrale per regolare l’utilizzo dei Bitcoin. Dopo aver lamentato, nel corso di una adizione al Senato, lo stato di impotenza attuale della Fed nei confronti delle criptovalute, ha ipotizzato la promulgazione di policy precise. Ad ogni modo, ha specificato che il fenomeno non è ancora abbastanza grande da destare enormi preoccupazioni, e quindi attualmente non ci sono le condizioni per intervenire.

Banca Centrale Europea

A dire il vero, la BCE non si è sbilanciata molto sulle criptovalute. Si ricorda una dichiarazione di Mario Draghi pronunciata a dicembre durante un incontro pubblico nel quale ha rigettato la qualifica di “valute” per Bitcoin e compagni, e ha messo generalmente in guardia gli investitori, pur specificando che per adesso non avverte alcun rischio per il sistema finanziario continentale.

Più preciso è stato Vitor Costancio, membro del board, che qualche mese fa ha sottolineato la natura altamente speculativa delle criptovalute, paragonando il fenomeno ai tulipani del XVII secolo. Il riferimento è alla bolla esplosa nel Seicento, avvenuta dopo un aumento dei prezzi esagerato dei celebri fiori (la prima bolla finanziaria della storia).

Banca Popolare Cinese

L’atteggiamento del massimo istituto finanziario cinese è ambiguo. Nel senso che da un lato si apprezza una clamorosa apertura al mondo delle criptovalute, mentre dall’altro si evidenzia una chiusura totale. Nello specifico, la Banca Popolare Cinese si è detta disponibile ad abbracciare la tecnologia delle cryptocurrencies, reputando valido il concetto stesso di valuta digitale, a tal punto da progettare una sua valuta virtuale, di stampo governativo. Contemporaneamente, ha stigmatizzato il ruolo dei privati nel fenomeno. Il risultato è il bando del trading di criptovalute entro il territorio cinese.

Bank of Japan

Il Giappone si è esposto molto di meno, limitandosi a osservare il fenomeno, analizzarlo ed esprimendo qualche parere generico. Lo ha fatto nella persona di Haruhiko Kuroda, governatore della Bank of Japan. Il numero uno della BoJ ha innanzitutto negato la natura valutaria delle criptovalute, asserendo che, per adesso, sono più strumenti di investimento che mezzi di pagamento veri e propri.

Si è poi ripromesso di studiare ancora più attentamente il fenomeno, specificando però che l’adozione di una valuta virtuale da parte della banca centrale rappresenterebbe un salto in avanti eccessivo, praticamente una rivoluzione.

Bank of England

Molto entusiasta, almeno secondo gli standard delle banche centrali, si è dimostrata la Bank of England. In particolare, è stato il governatore Mark Carney a tesserne le lodi. In realtà, non tanto della criptovaluta in sé, quanto della tecnologia che sta alla base: la blockchain. Stando alle parole del governatore, la blockchain potrebbe offrire garanzie di sicurezza ai pagamenti, e rendere praticamente impossibile gli attacchi informatici. Ha comunque specificato che la Bank of England è ben lungi anche solo dall’ipotizzare la creazione di una propria valuta virtuale.

Bank of Canada

La banca centrale canadese, invece, è dello stesso avviso del Giappone: le valute virtuali non sono delle vere e proprie monete. L’ex vice governatore del massimo istituto finanziario del Canada, però, in una intervista di novembre ha commentato questo – secondo lei – dato di fatto con una piccola provocazione: “Che non siano delle valute vere e proprie, si tratta di un vantaggio e di una garanzia di sicurezza”.

Anche la Wilkins, però, considera molto vantaggiosa la tecnologia delle blockchain, quindi non è da escludersi un suo utilizzo da parte della Bank of Canada.

Bank of Corea

La banca centrale coreana ha manifestato una chiara avversità nei confronti delle criptovalute. Si è posta lo scopo di “proteggere” i consumatori da questo fenomeno e impedire che possa “corromperli”. Il riferimento è non solo alla mania speculativa, che secondo i detrattori sta sfociando nel giorno d’azzardo, ma anche ai falsi miti secondo cui le criptovalute rappresenterebbero lo strumento di pagamento preferito dai trafficanti di droga, di armi etc.

Nel frattempo, il legislatore sudcoreano sta pensando a una tassa specifica per i guadagni da plusvalenza realizzati mediante trading di criptovalute.

CBRF

La Central Bank of the Russian Federation ha in mente di utilizzare il pugno duro, naturale conseguenza di una percezione alquanto negativa del mondo delle criptovalute. Secondo il governatore della banca centrale Elvira Nabiulina le criptovalute non sono altro che schemi piramidali (es. schema Ponzi) e in ogni caso sarebbero da bandire in quanto denaro emesso da privati. Attualmente, non è stata varata alcuna decisione in merito, dal momento che si aspetta una indicazione precisa da parte del Governo.

Contemporaneamente, però, è noto il rapporto (dialetto, pubblico e aperto) tra il creatore di Ethereum e il governo russo. Si pensa, infatti, che Ethereum possa essere cooptato nel sistema amministrativo russo. La posizione di Mosca, quindi, in realtà potrebbe essere alquanto simile a quella cinese: da un lato si stigmatizza l’uso privato, dall’altro si punta a porre il fenomeno sotto l’egida governativa.

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