Il rischio di una short put è molto elevato, ma comunque limitato ad una perdita massima che è possibile calcolare prima dell’investimento. Non può dirsi lo stesso per una short call in quanto in questo caso non è possibile conoscere in anticipo la perdita massima che l’investitore dovrebbe sopportare nell’ipotesi in cui le previsioni non dovessero volgere verso la direzione desiderata.
In parole povere, mentre la short call non ha un limite alle perdite, per la short put è possibile definire una perdita massima. La perdita si calcola sottraendo dal breakeven (prezzo d’esercizio – premio incassato) il prezzo del titolo a scadenza. Ciò vuol dire che maggiore è lo scarto, e maggiore è la perdita che l’investitore deve sopportare.
La strategia è abbastanza remunerativa, ma come già sottolineato, anche parecchio rischiosa, ecco perché normalmente non si utilizza da sola, bensì combinata con altre strategie d’acquisto.
Il soggetto che vende opzioni put si attende un mercato al rialzo, o al massimo che il prezzo del titolo rimanga invariato. In questo caso infatti la put si deprezza scadendo senza valore.
Se il prezzo del titolo non scende sotto lo strike price, l’acquirente non avrà nessun interesse economico ad esercitare l’opzione e al venditore rimarrà in mano il premio ricevuto dalla vendita dell’opzione (il premio non è altro che il profitto del venditore).
In sintesi:
La strategia short put è ad alto rischio, ma con perdita massima limitata.
La strategia short put ha un profitto massimo limitato, esso corrisponde all’intero premio riscosso.
L’investitore vende in prospettiva rialzista, cioè si aspetta che il mercato salga, o al massimo rimanga invariato.
Il trascorrere del tempo aiuta l’investitore perché diventa sempre più improbabile che il prezzo del titolo possa subire forti scossoni.
Il breakeven è dato dalla differenza tra il prezzo d’esercizio – il premio incassato dalla vendita dell’opzione put.
Esempio:
Lotto 100 azioni
Strike price 50€
premio 4€
Breakeven 50€-4€
Se il prezzo del sottostante non scende sotto la soglia dello strike price (50€), alla scadenza, il guadagno dell’investitore è pari all’intero premio ricevuto (4€ x 100 = 400€) perché per mancanza di convenienza economica l’acquirente non eserciterà l’opzione.
Se il prezzo del titolo scende sotto i 50€, il profitto inizia a diminuire: per ogni centesimo sotto il prezzo di 50€, si ha una riduzione di profitto pari ad un centesimo moltiplicato per il numero di opzioni vendute. Il profitto si azzera se tocca quota 46€, cioè quando viene raggiunto il punto di Breakeven.
Al di sotto del punto di breakeven l’investitore inizia a perdere. Più basso è il prezzo del titolo, maggiore è la perdita. Se ad esempio alla scadenza dell’opzione il titolo chiude a quota 20€, la perdita per ogni opzione ammonta a 46-20 = 26€, se scende a 16€ la perdita è di 46-16 = 30€ ecc ecc.
Dato che nell’esempio sono state acquistate 100 opzioni, con un prezzo del sottostante di 20€, la perdita totale è di 26€x100 = 2.600€, questo perché l’acquirente dell’opzione ha il diritto di chiedere al venditore di acquistare il sottostante allo strike price pattuito di 50€, invece che all’attuale prezzo di mercato di 20€.
La perdita massima si raggiunge solo nell’ipotesi in cui il titolo perde completamente il suo valore, in questo caso il venditore sarebbe costretto ad acquistare al prezzo di 50€ un titolo carta straccia che non vale neanche più un centesimo. Nel nostro esempio la perdita ammonterebbe a 46€-0 (breakeven – prezzo del titolo a scadenza), cioè 46€ ad opzione, quindi 46€ x 100 = 4600€ di perdita totale