Stocastico e RSI appartengono entrambe alla classe degli oscillator e restituiscono valori compresi in un intervallo 0-100. Entrambi sono molto utilizzati, sebbene spesso non da soli bensì come supporto, verifica (o semplicemente in compagnia) di altri indicatori. Hanno parecchi punti in comune e infatti di frequente vengono considerati come intercambiabili.
Sono invece molto diversi.
Lo stocastico
Inventato dal trader George Lane nel 1970, lo stocastico è utile per individuare le zone di ipercomprato e di ipervenduto. Annuncia, quindi, le possibili inversioni di trend.
Nello specifico, mette in relazione il prezzo corrente con i minimi e i massimi rilevati, di fatto, dal trader. Quest’ultimo definisce un orizzonte temporale tra i tanti disponibili, ognuno dei quali, come è risaputo da tutti gli investitori, produce diversi minimi e massimi. Per questo motivo, il grosso del lavoro coincide con l’individuazione dell’esatto timeframe.
Ad ogni modo, lo stocastico restituisce un valore compreso tra 0 e 100, noto come %K e il valore %D, che rappresenta la media mobile di %K.
Come si utilizza lo stocastico?
Le tecniche sono numerose. La più utilizzata prevede l’individuazione delle situazione di ipercomprato e ipervenduto. Quando %K è superiore a 80, il mercato è in ipercomprato. Quando %K è inferiore a 20, il mercato è in ipervenduto. In definitiva, un consigliao di massima è assumere posizioni long quando si è in una situazione di ipervenduto e posizioni short quando si è in una condizione di ipercomprato.
I valori estremi, infatti, suggeriscono inversioni di trend più o meno immediate.
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L’RSI
RSI, acronimo di Relative Strenght Index è stato inventato dal trader J Welles Wilder nel 1978. Come lo stocastico, si prefigge l’ambizioso obiettivo di annunciare le possibili inversioni di trend. Inoltre, ancora una volta analogamente allo stocastico, l’RSI produce un valore che va da 0 a 100. Segnala, poi, le situazioni di ipercomprato e di ipervenduto. Nello specifico, si è in ipercomprato quando il valore è compreso tra 80 e 100, si è in ipervenduto quando il valore è compreso tra 0 e 20.
Quando il mercato è in ipercomprato, si prospetta una inversione di tendenza, quindi è bene vendere. Quando il mercato è in ipervenduto, idem, quindi è bene comprare.
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Differenze tra stocastico e RSI: ipercomprato e ipervenduto
E’ veramente così facile? E’ sufficiente individuare gli “estremi” e comportarsi di conseguenza?
La verità è che sia lo stocastico che l’RSI non sono così infallibili, soprattutto se utilizzati da soli. Tuttavia se associati ad altri indicatori, o anche solo a una media mobil, sono molto utili. Necessitano di un supporto perché rischiano di restituire falsi segnali. Quando il timeframe è stretto, sia lo stocastico che l’RSI tendono a rilevare un numero maggiore di ipercomprati o ipervenduti. Quando l’approccio è basato sul lungo periodo, gli estremi sono più rari. Paradossalmente, il superamento dei valori 20 e 80 potrebbe suggerire un rafforzamento del trend. Che fare dunque? Un’idea è associato un indicatore che fornisca profondità, che replichi gli effetti del long term, come una media mobile.