Quando si sente parlare dei crolli in borsa, della perdita di valore da parte dei titoli italiani, il cittadino medio tende a non preoccuparsi. Egli avverte questi movimenti come un fenomeno frequente, dunque non pericoloso. Qualche pensiero in più, a dire il vero, lo provoca lo spread, ma più per l’importanza che giornali e televisioni attribuiscono a questo indicatore, che per una reale conoscenza dello stesso.

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Dunque, è bene fare chiarezza sull’argomento. Ovvero, sulle implicazioni reali, lato investitori e lato risparmiatori, delle speculazioni subite dai titoli italiani; ma anche sui protagonisti di queste speculazioni.

Perché la speculazione fa male all’Italia

La speculazione è un termine negativo, che persino al più profano dei cittadini rievoca situazioni di pericolo. Una sensazione che, in effetti, trova riscontro nella realtà. La speculazione può veramente causare problemi di tipo pratico, e non solo all’investitore professionista.

Pensiamo ai titoli obbligazionari italiani, e nello specifico ai titoli di Stato. Se a seguito di una speculazione, o semplicemente una forte ondata di vendite, il prezzo dei famosi BTP (ma anche degli titoli a più breve scadenza) scende, le conseguenze sono notevoli. Anche perché se il prezzo scende vuol dire che i rendimenti salgono, insieme al famigerato spread. Se i rendimenti salgono, lo Stato fa più fatica a finanziarsi. Inoltre, impone un costo di finanziamento più elevato a tutti i livelli, dunque nel passaggio di denaro tra banca nazionale a banca commerciale, da banca commerciale a imprese etc. Il risultato più pratico è una generica stretta del credito al dettaglio, con interessi più alti per le aziende che vogliano finanziarsi ma anche i semplici cittadini che chiedono un prestito. Il riferimento è ai mutui, specie quelli con il tasso variabile.

Vi è un effetto ancora più pericoloso, ma meno vincolato alle evidenze pratiche. Se i BTP producono pessime performance, e subiscono una forte ondata di vendite, si instaura un circolo vizioso. Con l’aumentare delle vendite, infatti, gli investitori perdono la fiducia e smettono di acquistare/iniziano a vendere; chi compra lo fa a un prezzo sempre più basso, alimentano la spirale del deprezzamento e della sfiducia.

Una cosa simile accade ai titoli azionari. Se sono oggetto di vendite, per la legge della domanda e dell’offerta, i prezzi si abbassano. E se i prezzi continuano ad abbassarsi gli investitori sono portati a vendere sempre di più e sempre più in fretta, causando una continua riduzione dei prezzi. Tutto ciò, infine, alimenta la sfiducia attorno all’economia del paese (che è composta anche e soprattutto dalle sue aziende) e ciò incide sui titoli di Stato. Tale influenza è ancora più forte se il deprezzamento coinvolge i bancari, che sono i maggiori detentori del debito pubblico.

Alla luce di queste dinamiche, si comprende l’effetto domino che caratterizza i mercati: la causa diventa effetto e viceversa, instaurando il più classico dei circoli viziosi.

Le ragioni della speculazione

Molto spesso, si sente dire da analisi e policy maker, a una ondata di vendita e di sfiducia non corrisponde una situazione reale. La sfiducia, specie verso i titoli italiani, sarebbe mal riposta in quanto l’Italia gode di buoni fondamentali economici. Questo è vero, almeno nella maggior parte dei casi. Dunque, perché si specula?

Alcuni esponenti politici attribuiscono la speculazione a una volontà politica precisa, gettando benzina sul fuoco delle teorie complottiste. Durante i primi giorni di ottobre abbiamo visto un corposo campionario di queste interpretazioni.

La verità, almeno quella ufficiale, è assai più banale. Si specula, o semplicemente si vende, per una ragione più che terrena, che nulla ha a che vedere con una visione politica o della società. Ovvero, per guadagnare o per limitare le perdite.

Alcune dinamiche di vendita appaiono insensate perché frutto della paura. Peccato, però, che la paura (degli altri) sia in grado di incidere realmente sul prezzo, e spinga anche le persone più razionali a vendere. Di nuovo, causa ed effetto si scambiano di posto, generando il circolo vizioso.

Titoli italiani: chi specula

E’ comunque importante conoscere chi è che, attualmente, sta speculando sui titoli italiani. Ovvero, chi sta vendendo, magari allo scoperto (provocando effetti ancora più vistosi) tra i grandi nomi della finanza internazionale. Anche perché, spesso, le dinamiche di deprezzamento partono da lì: se un big vende, in primo luogo smuove tecnicamente il mercato (perché coinvolge volumi elevati), secondariamente lo smuove a un livello più emotivo. I big, infatti, sono spesso visti come benchmark da seguire.

Non c’è bisogno di fare indagini particolareggiate. E’ stata la Consob, a maggio 2018, a pubblicare una lista dei grandi investitori istituzionali che hanno venduto allo scoperto titoli italiani. Tra i nomi più famosi spiccano Viking Global, Engadine Partners, Marshall Wace, Lansdowne Partners, Pdt Partners, Alvento Capital Partners, Kairos e Pictet Asset Management. In mezzo, anche alcuni fondi pensioni degli Stati Uniti (come quello che cura la previdenza per il sindacato dei metalmeccanici) che avevano in pancia una discreta porzione di debito pubblico italiano.

Se vuoi sapere tutte le Posizioni Nette Corte aperte sui titoli italiani puoi visitare il sito della consob al seguente LINK

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