Ecco un altro articolo estratto dalla rubrica settimanale di Matteo Nobile e che replichiamo con piacere. Si parla degli aspetti comportamentali degli investitori, come reagiscono psicologicamente ai mercati, inflazione e rendimenti ottenuti. La psicologia dei mercati è la base da studiare per diventare investitori profittevoli nel tempo. Vale per gli investitori che per il trader online di forex, materie prime, spread, indici e metalli preziosi.
Evitare gli errori tipici e le trappole comportamentali dell'investitore inesperto aiuta a diventare buoni analisti e osservatori.
L'articolo che segue riflette il nostro modo di affrontare i mercati per diventare trader professionisti e vincenti:
- lavorare e studiare logiche e rendimenti di portafoglio (possibilmente non direzionali e sfruttando le fasi di volatilità)
- comprare o vendere compatibilmente a buone regole di money management e risk management
- valutare la variabile "tempo".
Gli e/orrori comportamentali
Praticamente tutti gli investitori focalizzano il rendimento nominale del portafoglio: sono partito da 100, a fine anno avevo 105, ho guadagnato il 5%, allora va bene. A fine anno avevo 100, allora va male. Poco importa se nel primo caso l'inflazione fosse 5% e nel secondo -1%. Così, gli investitori erano ben contenti di incassare il 4% dai titoli governativi USA nel 2008, quando in realtà l'inflazione faceva segnare valori superiori a 4%, mentre sono particolarmente sconvolti dal 2% che si può ottenere oggi, nonostante l'inflazione sia a 0.5% Certo, nel 1992, si poteva incassare attorno al 7% con un tasso di inflazione attorno al 3%, con uno scarto di 4%, ed era comunque interessante, oggi meno… ma la situazione dal lontano 2000 o poco più tardi è cambiata drasticamente. I mercati finanziari non possono creare rendimenti nominali dal nulla. Operano su delle “regole” piuttosto difficili da stravolgere.
Yield (1)
Una reazione comune a chi si trova con rendimenti nominali molto bassi in termini assoluti è quella di andare a caccia di altri rendimenti. Le scadenze si allungano, si aggiunge rischio credito, prima corporate, poi high yield, poi equity… poi si arriva a iniziare a considerare prodotti strutturati, private equity, fino ad arrivare a credere a babbo natale e a mettere in mano i soldi a chi promette rendimenti a doppia cifra (si vedano i casi delle obbligazioni subordinate, della banchiera “private” che falsificava i dati, …). La regola è molto semplice: chi riesce a ottenere continuamente rendimenti superiori al rendimento base (titoli di stato), potrebbe diventare enormemente ricco da solo, senza dover certo lavorare per altri. C'è SEMPRE un rischio.
Non esistono “azioni buone che pagano un bel dividendo”: quando il mercato va giù del 40%, anche queste scenderanno dello stesso importo, e non è il dividendo del 3% che salverà la situazione. Quando poi c'è di mezzo il genio della finanza le cose sono ancora più allucinanti: quando dovrebbe guadagnare un gestore che sa sempre dove va il mercato, mese su mese ? Dal 1987 ad oggi, sull'indice euro stoxx 50, avrebbe guadagnato il 33.2% all'anno se avesse solo deciso se stare investito o stare cash; se invece avesse deciso di fare long e short a dipendenza della direzione, avrebbe realizzato il 65% all'anno: 100 EUR sarebbero diventati 196.7 mio di EUR… davvero uno che guadagna così sui mercati si spende per altri al costo di una commissione di gestione?
Yield (2)
Su ogni prodotto finanziario viene comunque e sempre indicato “le performance storiche non sono garanzia delle performance future”.
Che si dovrebbe tradurre in un'analisi per chiarire “cosa ha generato la performance di un prodotto/strategia?
È possibile/probabile che la stessa cosa possa ripetersi in futuro?
I casi estremi si sono moltiplicati dopo il 2009. Alcuni prodotti hanno superato più o meno indenni il crollo del 2007-2009 e sono stati santificati. Oggi invece ci troviamo con prodotti che hanno offerto ottime performance soprattutto nel bienni 2012-2013 o anche per periodi più lunghi. Un caso molto semplice: l'indice World Global Bond espresso in EUR, nel 2014 ha offerto una performance del 13.3%, e un bel 6.9% nel 2015. Vale la pena investirci allora ? Basterebbe sapere che una componente enorme di questa performance dipende dall'esposizione alle valute estere, soprattutto il dollaro. Una seconda parte dipende dal movimento dei tassi. Come investitore europeo, è possibile/probabile che l'euro possa ancora deprezzarsi del 20% contro altre valute e i tassi globali scendere ancora ? Possibile è possibile, probabile forse un po' meno.
Mental Accounting
L'unico “free lunch” dei mercati finanziari è la diversificazione. Si può diversificare sul numero di titoli della stessa asset class, investire su diverse asset classes, e diversificare perfino le strategie di allocazione. È un principio finanziario fondamentale, razionale. Che però cozza violentemente con il “mental accounting”. Questo bias comportamentale spinge l'investitore a focalizzarsi su singole parti del portafoglio, invece che guardare tutto l'insieme. La maggior parte degli investitori si chiede quindi perchè dovrebbe restare investito in un titolo, in una asset class, in una strategia che, pur essendo stata scelta con cura, dopo un certo periodo sta perdendo soldi: molto meglio investire solo nelle strategie che hanno fatto bene.
- La domanda da farsi sarebbe “è giusto tenere ancora quella posizione ?
- Le analisi che sono state fatte in precedenza per la scelta sono ancora valide ?
- È cambiato qualcosa rispetto alla scelta ?
Una delle situazione più ridicole che ho incontrato nella mia carriera è veder fare la scelta basandosi su dati pluriennali e poi vendere dopo 2 settimane perchè “non fa quello che deve”.
Jumping Frog
Non è riconosciuto come un bias ufficiale, ma è pur vero che probabilmente a fronte del mental accounting e di molti altri bias comportamentali, molti investitori tendono a vendere ai minimi e a comprare ai massimi. C'è probabilmente del “bandwagoning”, del “momentum”, “herding”, ci sono tante parole per definire questo comportamento, ma l'esito è tendenzialmente disastroso. Si capitola con la vendita di una posizione/strategia perchè “ha perso” e si reinveste nell'altra perchè “sta guadagnando” e generalmente non si fa altro che rinunciare a tutto quello che può essere l'effetto di “mean reversal”.
Investitori conservativi che vogliono comprare equity perchè “guadagnano tutti, perchè io no?” e poi vendono perchè “non reggo più le perdite”. Questo effetto viene ampliato, estremizzato, quando l'investimento viene fatto su una strategia, soprattutto se si tratta di una strategia absolute return, magari sofisticata. Ma ho visto anche investitori uscire da un fondo azionario per comprare azioni, perchè il fondo perde… magari dopo che il mercato azionario era sprofondato di decine di punti… vabbhe.
Partial truth
Quanti investitori hanno ammesso, con amici, conoscenti e parenti di aver perso investendo sui mercati finanziari ?
Generalmente ci si vanta delle posizioni che sono andate benissimo e si tace di tutte le altre. Oppure si allungano gli orizzonti temporali, evitando accuratamente di considerare il rendimento annuale. Un esempio semplice: chi avesse comprato l'azione Zurigo nel 1997, ad oggi starebbe guadagnano ben il 20%… se non fosse che annualizzando il risultato si ottiene un misero 1%, in un periodo durante il quale le obbligazioni hanno reso il 3.9% all'anno… non proprio un risultato brillante. Non ci sarebbe nulla di male, se non che poi l'investitore che sente che l'amico ha fatto risultati straordinari in questo e in quell'investimento si chiede perchè il proprio portafoglio non faccia lo stesso… e cambia strategia (Jumping Frog)
Improbabile = Impossibile
Benoit Mandelbrot (e altri) sostengono che i mercati non rispondono alle distribuzioni “normali” o “gaussiane” ma che le code delle distribuzioni sono molto più spesse (fat tails). I dati gli danno ragione, ma anche usando una distribuzione normale il ragionamento è lo stesso. “Vorrai mica che quel titolo scenda del 20% !” è una cosa che mi sono sentito dire svariate volte, con diverse percentuali, con diversi titoli. Ora, la probabilità che un titolo con volatilità 20% su base annua possa perdere il 20% in 4 mesi è di un miserevole 4%; che perda il 30% sullo stesso periodo è addirittura 0.47%; almeno secondo una distribuzione normale. Questo significa che ottenere quel risultato è IMPROBABILE, ma non impossibile. Se si ritiene che 0.47% sia impossibile, si farebbe bene a non giocare a nessun lotto, in quanto le possibilità di vittoria in quel caso sono ancora più basse, molto più basse… eppure ci sono un sacco di persone che continuano a giocarci.
Improbabile significa che la probabilità che succeda è 100%, basta dargli tempo.
Se poi immaginiamo che le distribuzioni hanno le code spesse (fat tails), questa probabilità sale, in modo anche importante. Investire quindi su una posizione con la speranza che “è impossibile che questo succeda” è un errore in partenza… può essere improbabile… magari con probabilità molto basse, ma il 2000-2003 e il 2007-2009, e il 2011, … ci dovrebbero aver insegnato che gli eventi 5 sigma, 7 sigma (un movimento di 7 volte la volatilità), … sono comunque possibili.
Conclusione
Entriamo in un periodo di rendimenti molto bassi, lo sappiamo dai rendimenti obbligazionari e ci troviamo in una situazione economica così fragile che la volatilità potrebbe esplodere da un momento all'altro. In uno scenario di questo tipo, gli effetti comportamentali di investimento vengono amplificati dal fatto che non c'è un “rendimento base” (trovare qualcosa che sembra non andare ma guadagnare comunque 5% va comunque bene; con un rendimento di 0% o negativo spinge a intervenire, spesso in modo sbagliato, sul portafoglio).
La finanza si basa comunque su una serie di “regole” e una delle regole fondamentali è che al rendimento corrisponde un rischio e il rischio porta il rendimento ad essere diverso (magari anche maggiore) di quanto non ci si potrebbe aspettare.
Aumentare il rischio significa quindi dover allungare l'orizzonte temporale, magari anche in modo importante.
Considerando un rendimento atteso di 2% con un rischio del 3% (volatilità), considerando una distribuzione “normale”, è necessario attendere 2 anni per avere una probabilità statistica di 83% di avere un rendimento positivo. Se il rendimento fosse 4% e il rischio 10%, sarebbe necessario attendere 6 anni per avere un rendimento atteso positivo con la stessa probabilità. Molti analisti iniziano a prevedere un rendimento atteso dai mercati azionari vicino a quello del dividendo (2-3%) con un rischio che resta però del 15%-20%… con questi dati, con 83% di probabilità, la perdita minima sarà del 13%… ops.