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Come proteggere gli investimenti dal terrorismo

By Novembre 23, 2015Maggio 6th, 20212 Comments

Ospitiamo un’interessante riflessione sull’allarme terrorismo e attentati e la conseguente reazione delle borse mondiali a cura di Matteo Nobile, gestore di un importante fondo di investimento svizzero della banca BSI di Lugano. Sappiamo che le sue opinioni sono sempre di grande valore per i nostri lettori.

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Indifferenza

È ovviamente impossibile cercare di misurare, in modo razionale, la gravità di un attentato terroristico: non trovo corretto né usare la vicinanza geografica, né il numero di vittime, di feriti, le armi usate, … L’attacco di Parigi, di venerdì scorso, quello nel Mali, durante la settimana, i rastrellamenti nei quartieri di Parigi e di Bruxelles e la risposta militare in Siria, gli avvisi di stare a casa ed evitare i luoghi affollati sono comunque fatti gravi, è difficile negarlo.

Eppure, la reazione del mercato, è stata prossima allo zero. Un sussulto lunedì mattina, durato pochi attimi, 46 minuti per l’esattezza, per poi tornare, con l’indice europeo in zona neutrale dopo un inizio comunque relativamente contenuto a -1.03%.

In realtà, il mercato statunitense sembra più o meno “fuori dai giochi”, mentre quello europeo sembra essere guidato praticamente solo dalla liquidità offerta dalla banca centrale (BCE) che nell’instabilità e nell’incertezza ha altre motivazioni per continuare, estendere, rafforzare il suo intervento monetario, senza dover nemmeno richiedere ai vari paesi di attivare le misure di austerità, anzi.

Le mosse di Draghi e delle banche centrali

Tanto che Draghi ha fondamentalmente ricordato che è pronto a fare tutto il possibile, in attesa dell’incontro del 3 dicembre. A tutti gli effetti, la “non reazione” di

lunedì si è trasformata in un catalizzatore, per quegli investitori ancora reticenti relativamente alla capacità del mercato di recuperare dopo le difficoltà estive. Dato che nemmeno l’attacco terroristico è riuscito a togliere impeto al mercato, era davvero il momento di tornare a comprare. Nessuna motivazione fondamentale, soprattutto dai dati macro, anzi, con l’inflazione di vari paesi in linea con le attese, ma comunque decisamente debole, soprattutto quella che comprende anche le materie prime (energy) che si sono ritrovate a -2.35%, un greggio WTI a pizzicare il limite dei 40 (ci deve essere stato anche un “fat finger” venerdì sera che ha spinto per un istante il prezzo fino a 39).

Per il resto, è stato piuttosto chiaro il messaggio di Draghi, che ha spinto i tassi tedeschi a 0.48%, e sta diventando sempre più chiaro il messaggio della FED, praticamente certa di un rialzo a dicembre, che ha spinto i tassi (a breve) al rialzo. Di questa chiara divergenza ne ha fatto le spese l’EUR, indebolito di 1.18% contro USD (ma praticamente stabile con il CHF).

Se il mercato si concentra solo sulle banche centrali e non si preoccupa dei fattori geopolitici, allora ci sarà un mese di dicembre relativamente intenso. La BCE dovrà “deliverare” (indicare chiaramente come intende potenziare il suo QE) già il 3 di dicembre. Una settimana dopo toccherà alla BNS svizzera cercare di parare il colpo di un’eventuale estensione dell’attività della BCE. Mentre il 16 di dicembre avremo, finalmente, la FED, con l’ultima possibilità disponibile per ritoccare i tassi a breve nel 2015 (il mercato prezza una probabilità del 68% di un rialzo).

No choice

Arrivano i primi outlook, che permettono, in qualche modo, di misurare il polso della situazione. Il quadro generale sembra essere l’inizio della rassegnazione ad una crescita positiva, ma comunque sotto il potenziale. Potenziale calcolato come media della crescita di lungo termine. Ci sono però una serie di differenze legate a diversi aspetti: chi ritiene che la FED si “scoccerà” del dollaro forte che rallenta la loro crescita e si muoverà per indebolirlo, danneggiando così l’Europa e soprattutto favorendo i mercati emergenti; chi ritiene invece che non ci siano scelte, che il destino degli USA come nuova potenza economica, in grado di trascinare gli altri stati che approfitteranno tramite la svalutazione; chi arriva a indicare che, per il momento non c’è da preoccuparsi, ma che nel tardo 2016, forse solo nel 2017, gli USA potrebbero entrare in una nuova recessione, dato il ciclo economico ormai maturo.

Insomma, dal punto di vista macroeconomico, c’è un po’ di tutto, o per lo meno, ci sono molte più sfumature di quanto non ci fossero solo qualche trimestre fa.

Quello che invece sembra essere una costante dei vari outlook visti fino ad ora, anche in questo caso ci sono delle sfumature, è il posizionamento suggerito e soprattutto la motivazione: azioni, equity, risky assets… ma la motivazione è “perchè comunque non c’è alternativa”. Qui iniziano a venirmi i dubbi.

Il primo problema è che tengo sempre ben chiaro in mente il grafico di lungo termine (il più lungo possibile, stando ai dati di bloomberg) che misura la performance delle azioni e delle obbligazioni. È il grafico che ci ricorda che dal 1985 ad oggi, le azioni mondiali (MSCI World) hanno offerto un rendimento di 9.09% all’anno, mentre le obbligazioni (World Global Bond) hanno offerto un rendimento di 7.35%. Quindi che il “premio di rischio” delle azioni su questo periodo è stato di 1.74% all’anno. Non molto per un indice che ha sofferto anche di una volatilità media di 13.6% contro il rischio medio delle obbligazioni a 6.37%… oltre 7% di rischio in più per un “misero” 1.74% ?

Il secondo problema è che se il mercato (azionario) non è in grado di basarsi su dei fondamentali economici, che comunque stando alle previsioni saranno relativamente deboli, anche se positivi, quanto piuttosto al fatto che, per quanto possa essere inopportuno, non ci sono altre scelte, allora nella mia mente, cambia la distribuzione dei rendimenti. Non tanto in termini di rischio effettivo, quanto in forma della distribuzione… andando verso un situazione di “fat tails”: quindi pur mantenendo il rischio più o meno costante, saranno comunque più probabili eventi “distruttivi” magari basati sul nulla. Va ricordato che anche questa estate abbiamo assistito ad un “top to bottom” di quasi il 20% per l’indice Euro Stoxx 50, per quanto il rischio (calcolato sull’anno precedente) fosse in fondo del 17%, nulla di drammatico e comunque molto inferiore a quanto non sia ora. Una correzione da nulla, se confrontata al -58% del 2007-2009… ma se rapportiamo le misure sull’orizzonte temporale, siamo comunque di fronte ad un -50% annualizzato per il 2007-2009 e un -39% per il 2015… non poco.

I due fattori, quello di una performance attesa relativamente ridotta, e quello di fat tails e possibili correzioni improvvise e inattese, magari dovute a fattori che dal punto di vista fondamentale non avrebbero quasi impatto (come il 2% di svalutazione del RMB di questa estate) creano una miscela relativamente pericolosa. Non tanto pericolosa perchè ci possa essere una correzione, ma soprattutto per quelle che potrebbero essere le reazioni di un investitore, grande o piccolo che sia, quando vede il capitale sgretolarsi sotto una di queste code. Ho già scritto, su queste pagine, di quanto può essere micidiale, per la performance di un portafoglio, reagire ai movimenti di mercato, dopo che sono avvenuti, invece di valutare la strategia, i razionali e decidere cosa fare. In generale, si vende ai minimi e si ricompra ai massimi.

Cosa fare con i portafogli?

La prima cosa da fare, è ricordarsi, sempre e comunque, che le performance storiche devono essere giustificate e relativizzate, poi riportate alla situazione presente. Non possono mai essere utilizzate come base per una stima futura. Certo, il mercato azionario ha offerto, negli ultimi anni, performance che sfiorano il 10% all’anno e misurando su periodi più brevi, hanno pagato anche di più. È anche vero che questo rendimento era “appoggiato” dal rendimento dei tassi risk free molto più alti, da una crescita economica legata anche alla “scoperta” e apertura dei paesi emergenti, da una innovazione tecnologica importante, da politiche monetarie (Bretton Woods) importanti. Alcuni, molti di questi fattori non ci sono più, o il loro impatto è diventato marginalmente inferiore.

Non significa che i mercati azionari subiranno correzioni importanti e durature… piuttosto che forse quel 9% di crescita richiederà altri fattori che al momento non sono visibili. Oppure che se rivedessimo quel 9% a livelli più bassi, allora la “curva di efficienza” dei portafogli che si possono costruire, risulta molto più schiacciata e che un aumento della quota azionaria porta ad un incremento sensibile del rischio, senza che questo venga corrisposto da particolari rendimenti: se in passato, aumentare il rischio di portafoglio da 6% a 8% faceva aumentare il rendimento di 1.25%, oggi, stimando il rendimento delle obbligazioni a 1% e quello delle obbligazioni a 3%, lo stesso aumento di rischio porta il rendimento a salire di 0.5% : 2% di rischio in più per 0.5% di rendimento in più ?

Visto in questi termini, che dipendono comunque da quello che potrebbe essere il rendimento atteso, l’idea del “non c’è alternativa, non si può fare altro che investire in azioni” risulta forse meno interessante. Se si aggiunge il rischio di ottenere una performance negativa, in termini assoluti, è salito notevolmente, avendo poco “cuscinetto” dalla quota obbligazionaria, il quadro si complica ulteriormente. Alcuni dicono di investire in azioni, ma riducendo il beta (abbassando la partecipazione netta ai mercati), altri che addirittura ci si deve orientare verso i long/short.

In realtà, il risultato è che si stanno diversificando i fattori di rischio. Che è cosa buona e giusta, ma richiede un altro modo di “vedere” e considerare i portafogli: “obbligazioni e azioni” tende a non essere più sufficientemente informativo.

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